A Prato un percorso su misura per far uscire i lavoratori dallo sfruttamento: in 15 ne fanno già parte
I primi quindici – questa è la speranza – di un lungo elenco di uomini, molto spesso giovanissimi immigrati arrivati in Italia con il sogno di una vita e di un lavoro dignitosi, costretti, per campare e per mantenere il permesso di soggiorno, a tanta fatica in cambio di pochi soldi. Bengalesi e pakistani, i quindici operai della confezione Giulio, neppure 50 anni il più grande e appena 22 il più giovane; per ciascuno di loro, tempo qualche giorno, si aprirà un nuovo orizzonte con l’inserimento in un progetto di accoglienza, un permesso di soggiorno sicuro e la possibilità di ricominciare.
“Siamo partiti da questa inchiesta quasi per caso – spiega Simone Mangani, assessore all’Immigrazione del Comune di Prato – e abbiamo messo in piedi un sistema che consente di disegnare un futuro per chi emerge dallo sfruttamento lavorativo”.
Inps e Ispettorato del lavoro gli altri due soggetti che insieme al Comune, all’associazione Altro Diritto e alla Asl hanno lavorato per costruire, per ciascuno dei 15 operai, la posizione necessaria al rilascio del permesso di soggiorno, al versamento dei contribuiti e per qualcuno anche all’accesso alla cassa integrazione e alla disoccupazione. Un lavoro a cui ha preso parte anche il consulente del lavoro Alessandro Bensi, nominato – primo caso in Italia – amministratore giudiziario nell’ambito dell’inchiesta penale.
“A breve, incontreremo nuovamente i lavoratori – spiega Mangani – a cui offriremo l’ingresso nel progetto Sai, il vecchio Sprar, con una sistemazione in una delle strutture della provincia, o nel progetto Satis, con la collocazione in una delle strutture dislocate in Toscana. Per tutti, in ogni caso, il primo passo verso il riscatto: il permesso di soggiorno consente di cercare un lavoro, un tetto sulla testa consente di evitare il rischio di rimettersi nelle mani di imprenditori senza scrupoli, la vita in una struttura permette di partecipare ad attività formative e a ricavare un posto all’interno della società”.
Una nuova sfida per tutti, una sorta di evoluzione del protocollo contro lo sfruttamento che Comune e procura hanno sottoscritto in passato e oggetto di rinnovo. “Un lavoro – spiega l’assessore Mangani – che arriva ancora da più lontano, dal progetto Lavoro sicuro della Regione Toscana che, all’indomani della tragedia della confezione Teresa Moda, ha cominciato a scrivere una nuova pagina. Rifinanziare ogni volta questo progetto ha significato affinare le competenze, ampliare le capacità di ciascuno degli enti coinvolti, allargare gli spazi di intervento”.
Un cambio culturale che ha davanti a sé ancora molta strada ma che rappresenta un inizio importante, uno slancio forte verso la legalità.
“Si punta a meno controlli da un punto di vista della quantità ma ad un innalzamento della qualità – aggiunge Mangani – e anche ad una estensione a tutti i comparti: non solo confezioni e tessile e non solo cinesi”.
Il messaggio di speranza è grande: “Non è necessaria una inchiesta per portare in salvo gli sfruttati e neppure è necessario che un operaio denunci il suo datore di lavoro per aggrapparsi all’aiuto che possiamo dare – conclude Mangani – in via Roma 101 c’è lo sportello antisfruttamento: chiunque pensi di essere sfruttato sul lavoro, può presentarsi e chiedere una mano. Chi lo farà, scoprirà di non essere solo”.
A Prato un percorso su misura per far uscire i lavoratori dallo sfruttamento: in 15 ne fanno già parte.
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